FLAME: Il senso della Comunita’ Open

Da qualche tempo girovagando per i forum di varie distribuzioni mi accorgo che serpeggia un’idea distorta di comunità open source. Mi capita di vedere sempre più spesso frasi come “gli sviluppatori di XYZ non ascoltano la comunità”, “alla ditribuzione PQR non contribuisce comunità”, “la distribuzione PIPPOS non mi fa sentire libero percé il suo sfondo di default è viola invece che blu” e altre frasi simili.

Quello che traspare da queste frase è un idea di comunità open come magico mondo fatato in cui tutti i suoi membri vivono e cooperano in armonia e in cui magicamente tutti i gusti, le necessità e le abitudini convergono in un unica e bellissima visione del mondo.

In realtà il modello Open non è questa visione utopica del mondo ma un semplice modello di sviluppo software. Un modello software che amo, che condivido e a cui collaboro ma in cui non bisogna confondere la libertà con il diritto di intervenire in ogni decisione di un progetto.

Ogni progetto Open che si rispetti ha un leader o un gruppo che comanda e decide. Questo meccanismo può essere più o meno democratico (come in Debian in cui esiste una sudata possibilità di diventare leader) ma non influisce sull’apertura del progetto. Ogni progetto che funziona ha bisogno di poche persone che decidono. La comunità è “suddita” di queste scelte. L’approccio open però offre rispetto al corrispettivo closed un incredibile libertà: il fork.

È il tanto criticato fork del paradigma Open che garantisce la vera libertà della comunità open e non qualcosa che deve essere fornito dai singoli progetti.

Ad esempio non posso continuare a sentire che Ubuntu è una distribuzione meno libera o meno comunitaria di altre distribuzioni quando poi esistono decine di derivate (di cui Mint e Elementary sono solo le più conosciute). Poi possiamo discutere di altri aspetti e comportamenti più o meno eleganti ma non si può dire che Ubuntu non rientri a pieno diritto nella comunità open source.

Un altro esempio è dato da OpenOffice forkato in LibreOffice, MySQL con i suoi multi-fork (es MariaDb), ecc…

Insomma, la libertà nella comunità open sta tutta nella libertà di scegliere, la libertà di creare alternative la libertà di usare ciò che voglio. Non commettiamo l’errore più grave che possiamo fare: confondere la nostra libertà con la necessità di imporre le nostre scelte agli altri.

5 comments on “FLAME: Il senso della Comunita’ Open

  1. Bel post….
    Non è possibile accontentare tutti e i leader dei progetti di successo sono quelli che hanno la forza di imporre scelte anche impopolari all’interno di una visione più ampia delle cose.
    Un grande esempio è stata gnome foundation che imponeva regole apparentemente assurde alla comunità. Ricordo ad esempio che si rifiutò di includere alcuni programmi all’interno di gnome a causa del mancato rispettavo delle HIG Gnome (in particolare faceva uso di icone non standard).
    Oggi però siamo tutti felici di avere un DE discretamente omogeneo!

    Inoltre il chiasso di chi si lamenta si nota di più della silenziosa soddisfazione delle masse felici!

    • Quella di Gnome fu una scelta saggia. 😀

      Che poi è giusto anche lamentarsi. Ma additare tutto ciò che non condividiamo come minaccia dello spirito open mi sembra un esagerazione esagerata. xD

    • Grazie Picchio! 😀 Dovresti preparare il badge “Picchiopc Approves This Post”!

  2. Complimenti per il post, come sempre sei chiaro e vai perfettamente al nocciolo della questione … sarebbe da girare a tutti quelli che rompono le p@lle per ogni cavolata che non gli va a genio nell’ambiente floss, visto che parlano senza sapere minimamente di che cosa stanno parlando (e spesso chi si lamenta non contribuisce nemmeno ad una virgola del software che usa e critica).